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16 Dicembre 2004

65° CONGRESSO SICINFARTO, LE STAMINALI “RIPARANO” IL CUORE. ECCO COME IL LORO INTERVENTO EVITA LO SCOMPENSO

sez,379

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Roma, 13 dicembre 2004 – In caso di infarto il cuore lancia un SOS al midollo il quale risponde producendo più cellule staminali che corrono a riparare i danni. Un gioco di squadra tanto efficiente quanto più l’organismo è giovane e migliore la capacità emopoietica del midollo. Purtroppo gli infarti colpiscono perlopiù uomini e donne in là con gli anni, la cui risposta è decisamente minore: in questi casi aumenta la gravità delle complicanze. Ma oggi l’ematologia può aiutare la cardiologia a colmare questo deficit fisiologico grazie ai fattori di crescita in uso da diversi anni nella cura delle leucemie e delle principali neoplasie. Uno studio che viene presentato al Congresso della Società Italiana di Cardiologia e condotto su 50 pazienti dal Gruppo dell’Università di Ferrara, diretto dal prof. Roberto Ferrari, direttore della cattedra di Cardiologia dell’Università di Ferrara, ha rilevato la capacità dei fattori di crescita di aumentare il numero di staminali circolanti e ridurre così i danni infartuali. L’infarto colpisce oggi in Italia circa 160.000 persone ogni anno e praticamente tutte vanno incontro a scompenso.
“Un altro studio monocentrico, sempre condotto in Italia dal mio Gruppo su oltre 150 pazienti e pubblicato a novembre su Circulation – conferma Ferrari – dimostra inoltre il ruolo delle cellule staminali nel determinare la gravità dello scompenso cardiaco. Più sono le staminali in circolo e meno grave è lo scompenso. Paradossalmente nei casi terminali non ci sono più staminali. Si propone quindi anche a livello biologico un ruolo protettivo di queste cellule a conferma di un colloquio costante e continuo tra il cuore e il midollo. Si apre così la porta a nuovi interventi, sempre con fattori di crescita, anche nello scompenso e vi sono già esperienze in atto estremamente incoraggianti con l’eritropoietina, che non solo normalizza l’anemia ma stimola la produzione di cellule staminali. Sempre il mio gruppo, ha inoltre evidenziato che una statina (la rosovastatina) è in grado di attivare le staminali”.
L’Italia è all’avanguardia in questo ambito della ricerca, anche se c’è comunque ancora molto da fare. “Non è detto – dice Ferrari – che questa fantastica ‘agenzia di ricostruzione’ riesca sempre a trasformarsi in cellule muscolari e a localizzarsi là dove ce n’è bisogno”. Le cellule cardiache infatti sono immortali ma una volta danneggiate non possono essere sostituite. Sono stati riscontrati altri potenziali benefici associati al meccanismo ricostruttivo messo in atto da cuore e midollo. “È stato infatti messo in luce – conclude Ferrari – come le staminali siano in grado di sostituire anche le cellule preposte all’invio dell’impulso elettrico al cuore. Si tratta di una novità importante perché apre la porta a un futuro in cui i pacemaker artificiali lasceranno il posto ad altri biologici, creati dalle cellule staminali stesse.
Quello delle cellule staminali è solo uno dei temi, anche se tra i più suggestivi, discussi al 65° Congresso della SIC. Un appuntamento particolarmente importante perché coincide con i 70 anni della Società, nata a Milano nel 1934. “Questa edizione del congresso, grazie alle oltre 5000 iscrizioni, un imponente numero di simposi e più di 1000 abstract presentati – sostiene il presidente Massimo Chiariello – parte già con numeri record. Soprattutto l’evento spicca per il numero elevato di contributi originali di ricercatori italiani, testimonianza di una confortante vivacità nel campo della ricerca e della clinica cardiologica. Il programma allestito dal comitato coordinato dal prof. Salvatore Novo è particolarmente ricco: si passa dalle biotecnologie applicate alla cardiologia all’utilizzo dei biomarcatori, dalla gestione del post infarto e del rischio cardiovascolare globale fino al ruolo degli anticoagulanti nella fibrillazione atriale e le carte del rischio. Quest’anno, inoltre, è stata dedicata grande attenzione al tema della prevenzione, che deve riguardare in primo luogo il medico ma anche la popolazione generale. Sono infatti molte le iniziative di sensibilizzazione, rivolte soprattutto ai giovani: tra queste ricordo i concorsi a tema per i bambini delle scuole elementari e i ragazzi delle medie superiori”. La prevenzione è al centro del dibattito anche al Ministero della Salute. Lo dimostra la presenza domani al congresso del ministro Girolamo Sirchia, che ha tra l’altro firmato la prefazione del libro di ricette della SIC (“La cucina del cuore”) presentato proprio in questo congresso, dove si sottolinea l’importanza di correggere gli stili di vita e l’alimentazione per combattere le malattie cardiovascolari.
La presenza del ministro sarà anche un’occasione per ribadire la posizione della Società sulla Nota 13, che riguarda la prescrivibilità dei farmaci per abbassare il colesterolo, in particolare le statine. “C’era accordo generale sul fatto di trattare l’ipercolesterolemia, secondo i target raccomandati dalle linee guida, in prevenzione secondaria – spiega il prof. Salvatore Novo, ordinario di malattie cardiovascolari all’Università di Palermo – ossia nei pazienti con pregresso infarto miocardico o ictus cerebrale o arteriopatia obliterante periferica, e dei diabetici. Successivamente il problema era stabilire quale fosse il target di rischio per iniziare a trattare con le statine la popolazione italiana in prevenzione primaria: se cioè quando il rischio cardiovascolare a 10 anni è del 10%, 15% o 20%. La maggior parte degli studiosi riteneva che il cut-off giusto fosse il 15% anche sulla scorta d’importanti studi d’intervento quali il WOSCP, l’ASCOT e l’AFCAPS, nei quali il rischio cumulativo di eventi cardiaci e cerebrali fatali e non fatali variava dal 7.9 al 18.5% in 10 anni. Purtroppo la scelta è stata per il cut-off più alto: del 20% a 10 anni. Così facendo sono però rimasti esclusi una fetta importante di pazienti. A noi cardiologi, e non solo, questo non sembra corretto. Tanto è vero che la SIC, e altre Società scientifiche, tra le quali la SIIA, (Società Italiana per la cura dell’Ipertensione Arteriosa), la SISA (Società Italiana Studio Arteriosclerosi) e i Gruppi per lo Studio dell’Arteriosclerosi, hanno preparato un documento da dare al ministero in cui si raccomanda di rivedere la formulazione della nota 13 e di abbassare il cut-off dal 20 al 15%.
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